ANNONE VENETO
MARTEDI 9 OTTOBRE 2018 ORE 20:30 PRESSO IL CENTRO CIVICO, MONOLOGO TEATRALE DI GIORGIO BARRO.
GIORGIO BARRO SCRITTORE DEL MONOLOGO TEATRALE.
PRESENTAZIONE
Il 9 di ottobre del 1963 è una data che è entrata nella memoria storica di ogni italiano, tra le tante date dei tragici eventi della storia nostra Nazione, questa è più che mai la data della vergogna, ma soprattutto è la data del dolore, quel giorno lontano ci fu il tragico epilogo della tragedia del Vajont.
Per rendere omaggio a tutte le vittime di quel disastro annunciato, Giorgio Barro ha scritto:
“IL RACCONTO DEL VAJONT CON GLI OCCHI CURIOSI DI UN BAMBINO”.
Come per tutte le stragi ritengo sia importante continuare a parlarne per non dimenticare, perché il sacrificio di tante vite umane non sia stato invano, perché quanto accaduto possa servire da esempio alle nuove generazioni nel loro operare personale e civile.
In quegli anni infatti in Italia si sfruttavano corsi d’acqua montani e valli per costruire centrali idroelettriche che avrebbero prodotto energia elettrica fondamentale per lo sviluppo industriale del paese.
Una POLITICA D’OBBLIGO che però poco considerava le interazioni uomo-ambiente e la necessità di rispettare una terra che se tanto può dare altrettanto può togliere.
La natura non perdona e in quella notte di 50 anni fa la fame di progresso costò la vita a ben 1917 persone e vide rasi al suolo diversi borghi e paesi tra cui Longarone che per quella tragedia diventò tristemente famoso.
In questo racconto ripercorreremo insieme la storia del Vajont ma in un modo diverso, senza presunzione, direi quasi originale.
Lo faremo attraverso un racconto inventato dove gli avvenimenti, i numeri e i dati relativi alla vicenda sono ovviamente fedeli ai fatti storici; i protagonisti reali, ingegneri e geologi, verranno pertanto citati con i loro veri nomi mentre altri personaggi avranno nomi di fantasia anche se sono veramente esistiti (il prete, la maestra di paese, gli abitanti del luogo).
Nel racconto ci aiuta a rievocare la vicenda Andrea, che nel 1956 era un bambino e viveva con i nonni perché i genitori erano emigrati all’estero per lavoro. Con gli occhi curiosi, vivaci e intelligenti tipici di un bambino, osserva la sua valle trasformarsi con l’inizio della costruzione della diga e accanto a ciò le parole sempre parche ma piene di significato, le bestemmie e gli occhi tristi e preoccupati di suo nonno lo accompagnano a comprendere il preannunciarsi del triste destino della sua terra.
Il racconto è stato scritto ed è letto e interpretato da Giorgio Barro, geologo nella vita, e proprio per questo direi che nessuno meglio di lui poteva inventare e scrivere un racconto su tale evento.
Devo dire che il racconto emoziona, perché i personaggi prendono vita e si fanno conoscere attraverso i loro vissuti, i sentimenti, le angosce, il senso di impotenza per quello che stava accadendo e toccano le corde emotive di chi ascolta. Mentre si ascolta, i personaggi vengono immaginati, si configuravano nella mente sottoforma di immagini.
Ad esempio il nonno di Andrea, un “montanaro” nel carattere, uomo saggio nonostante la poca cultura ma conoscitore della sua terra e mi sembrava proprio di assistere a certe scene di vita quotidiana, di sentirlo bestemmiare, di vederlo silenzioso e preoccupato. E così anche per gli altri protagonisti.
Lo scopo del racconto Giorgio non è solo quello di parlare del Vajont sotto forma di documentario, visto che ormai della vicenda si conoscono molte informazioni, ma di provare a trasmettere il drammatico vissuto umano delle persone protagoniste della vicenda amplificando il loro grande senso di impotenza davanti ad una imminente tragedia che stava accadendo e che non potevano evitare.
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