Trieste:
Inaugurata la stagione teatrale al Politeama Rossetti di Trieste.
Debutto, ieri sera, della prima nazionale dello spettacolo “La coscienza di Zeno”, con Alessandro Haber e la regia del direttore del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Paolo Valerio.
A cento anni dalla pubblicazione del romanzo, il Politeama Rossetti, ieri sera, ha registrato il tutto esaurito e dopo Trieste, dove sono previste repliche fino a domenica 8 ottobre, “La coscienza di Zeno” sarà in tournée nazionale.
Pregevole l’idea del regista Paolo Valerio di mettere in scena e “trattenere” pagine indimenticabili del romanzo, focalizzandosi sui nuclei tematici principali, che Zeno/Alessandro Haber racconta e rivive attraverso il corpo di un altro attore, Zeno/Alberto Onofrietti, proponendo, sugli eventi della sua vita e sui ricordi, uno sguardo coinvolto e allo stesso tempo distaccato, o scettico, o ironico.
Scandita da U.S. (ultime sigarette) e U.V. (ultime volte), l’azione scenica si alterna tra malattia, fragilità, debolezze di Zeno e buoni propositi sempre procrastinabili, un “prossimo futuro” che il protagonista immagina di forza e di salute, in un alternarsi di squarci di verità e menzogne più o meno celate.
Zeno ci appartiene – afferma il regista – racconta di noi, delle nostre fragilità, della nostra ingannevole coscienza, della voce che ci parla e che nessuno sente e che ci suggerisce la vita.
Personaggio dunque umanissimo e attualissimo, Zeno Cosini, immerso nell’atmosfera della Trieste sveviana e di tutti i personaggi che la vivono, non sa trovare una posizione salda, come pare riescano a fare il padre, il suocero Malfenti, la moglie Augusta, Carla l’amante, il cognato Guido, lo psicanalista dottor S… personaggi che non mettono mai in discussione i loro ruoli e accettano le regole imposte dalla loro condizione di borghesi. Zeno vorrebbe integrarsi, ma la sua integrazione nella “salute” di chi gli ruota attorno è sempre solo momentanea, perché il protagonista spesso mente. Resta fluido, oscilla, si barcamena, e la sua non sarà mai un’integrazione definitiva. E’ proprio la sua incapacità di sentirsi in sintonia con la società del suo tempo a portarlo dal Dottor S, ad iniziare le sedute di psicanalisi e a tenere un diario su cui scrivere i ricordi fin dalla sua infanzia; pagine che si riveleranno costellate di lapsus, bugie, atti mancati, espressioni di antipatia nei confronti dello psicanalista e dei medici tutti.
Zeno finisce con il sospettare che ad essere malati siano gli altri e non lui e si trova ad amare la sua “malattia”, che gli ha permesso in fondo di comprendere che “ a differenza delle altre malattie la vita è sempre mortale” e che “la vita non è né brutta, né bella, ma è originale”.
Interessante l’adattamento costruito grazie alla collaborazione tra Paolo Valerio e Monica Corona e caratterizzato da messinscene originali e da linguaggi scenici diversi, e bene orchestrata anche la compagnia, che, oltre ad Alessandro Haber è composta, come detto, da Alberto Onofrietti e poi da Francesco Migliaccio, Valentina Violo, Ester Galazzi, Riccardo Maranzana, Emanuele Fortunati, Meredith Airò Farulla, Caterina Benevoli, Chiara Pellegrin e Giovanni Schiavo.
Splendido tributo a Svevo, dunque, e, nelle due ore di spettacolo, passeggiata dialettica fra “esterno e interno” del protagonista e, aggiungerei, di ciascuno di noi.
A teatro si guarda, si ascolta, si riflette, si sorride. E sono oltremodo toccanti gli ultimi minuti in scena: il monologo finale, l’ultima pagina di un romanzo che, uscito 100 anni fa e, all’epoca, decisamente sottovalutato, ha lasciato un segno indelebile nella storia della letteratura europea.
Antonella Saro
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